La maestra di inglese ha parlato italiano!
Ecco che si accende il dibattito sul ring.
In un angolo: i sostenitori dell’approccio monolingua, i quali suggeriscono che durante l’esposizione alla seconda lingua, quest’ultima dovrebbe essere l’unico mezzo di comunicazione, ritenendo che il divieto della lingua madre ne massimizzi l’efficacia di apprendimento.
Nell’altro angolo: i sostenitori dell’approccio bilingue che sostengono che l’uso della lingua madre può essere utile per creare un approccio positivo verso la seconda lingua, con conseguente facilità nella comprensione e acquisizione di vocaboli e strutture.
I primi si battono con insegnanti esclusivamente monolingua che non possono cadere nella tentazione di parlare nella lingua madre, gli altri con insegnanti bilingue sostenendo che il padroneggiare la lingua nativa dei propri studenti ha molti più vantaggi rispetto a quelli che non la conoscono.
Stephen Krashen, uno dei più grandi sostenitori dell’approccio monolingua e co-fondatore del Natural Approach, sostiene che le lingue straniere vengano acquisite con lo stesso processo in cui viene acquisita la lingua madre. Secondo Krashen, l’uso della lingua madre nel processo di apprendimento, dovrebbe essere minimizzata se non addirittura esclusa del tutto. E poi arriva Mario Rinvolucri con il suo “Using the Mother Tongue”, che mostra con esempi concreti i molti benefici di un approccio bilingue.
Da quale parte sto?
Dalla parte dei bambini. Sono convinta che un bambino non userà la seconda lingua (Language 2 – L2) a meno che non ne senta la necessità e che questa necessità vada stimolata cercando di creare occasioni di comunicazione con la L2. Ma non sono d’accordo nell’escludere del tutto la lingua madre (Language 1 – L1), specialmente quando si ha a che fare con bambini molto piccoli.
I bambini sono molto sensibili a ciò che li circonda e quanto più conoscono ciò che li circonda, più si sentono al sicuro. Il rispetto di questa sicurezza è fondamentale anche quando si tratta di esporre i bambini ad una seconda lingua. Non sarebbe giusto privarli di ciò che loro già conoscono e che li fa sentire a loro agio e sicuri di sé. Sarebbe una forzatura non farli parlare nella loro lingua madre quando ne sentono il bisogno e quando vogliono essere ascoltati, a maggior ragione se il livello della L2 non è elevato. Privarli di questa comunicazione potrebbe essere controproducente, cioè potrebbe allontanare il bimbo dalla L2 perché troppo lontana da ciò che è per lui familiare.
Quando usare la madrelingua?
Fare leva sulla L1 per massimizzare l’acquisizione della L2 può renderne più efficace l’esposizione. Questo non vuol dire che è giusto usare sempre e comunque la madrelingua ad ogni piccolo problema di comunicazione (perché a quel punto verrebbe a mancare proprio l’esposizione) ma di usarla strategicamente e con criterio nel momento in cui il bambino necessita di comprendere meglio ed esprime il bisogno di essere rassicurato. In quel caso è utile ripetere la frase o la parola in L1. Man mano che il bambino prende confidenza con la seconda lingua, l’aiuto viene tolto e la lingua madre viene utilizzata esclusivamente nei casi di “total communication block”. Fermo restando che il bambino va continuamente stimolato nell’usare la seconda lingua, la madrelingua, se utilizzata corettamente, si dimostra un valido ausilio per avvicinare i bambini all’inglese.
Sul ring l’incontro è sempre in corso. Ma l’arbitro è bravo. Si chiama CUM GRANO SALIS.
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